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appunti sparsi di fotografia e meditazione

alla ricerca dell'illuminazione con una Nikon in mano...

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​​pagina in evoluzione​​

Ogni cosa esistente è impermanente.

Quando si comincia ad osservare ciò, con comprensione profonda e diretta esperienza, allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza.

Questo è il cammino della purificazione.

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Siddhartha Gautama Buddha Sakyamuni

La fotografia ha da sempre esercitato un fascino particolare sull'uomo, fascino che non si è affievolito nemmeno con l'avvento del digitale, che pur ha permesso a quest'arte di diventare con facilità parte integrante della nostra vita quotidiana.

 

Purtoppo, come sempre succede in questi casi, la facilità di accesso ai mezzi fotografici, la loro apparente semplicità d'uso nonchè l'immediatezza dell'approccio ai sistemi di post produzione, hanno spogliato la fotografia del suo significato, a al punto che essa ha smesso di essere considerata arte.

 

Con un qualsiasi cellulare siamo in grado di portarci a casa migliaia di foto e di giocare con centinaia di effetti di postproduzione già preimpostati da altri.

 

Fotografiamo gli amici, i nostri animali domestici, il cibo che mangiamo. E tutto diventa immediatamente di dominio pubblico.

 

È diventata una smania ed una mania.

La fotografia è diventata un’urgenza.

 

Accantoniamo la magia di un tramonto sulla spiaggia per fotografarlo e dire agli amici “sono qui”. Dimentichiamo il brivido di un bacio per catturarlo in uno scatto che faremo vedere alla nostra community e ricevere tanti “mi piace”.

 

La fotografia, da sempre arte con una grandissima valenza voyeuristica - come lo sono la pittura e la scultura – rispecchia il crescente edonismo personale dell’uomo, la sua costante e affannosa ricerca del piacere, dell’ostentazione e della glorificazione del sé.

 

Fotografiamo per apparire ciò che vorremmo essere, per affermare la nostra presenza in quel momento presente e per avere l’illusione che la nostra presenza di in momento durerà per sempre.

 

“Le immagini fotografate sembrano pezzi di un mondo che chiunque può produrre e acquisire”

(Susan Sontag)

 

Scattare una fotografia è diventato più importante che viverla.

 

Non si cerca più la memoria storica, quella che si costruisce di ricordi affidati alle nostre percezioni sensoriali.

Le parole, le emozioni, gli stati d’animo legati ad un preciso istante devono essere racchiusi in qualcosa che testimonierà, in un futuro prossimo, la loro veridicità.

Come se dovessimo trovare conferma che ciò che abbiamo vissuto non è stato frutto solo delle nostre illusioni sensoriali.

Il quotidiano, percepito come sfuggente, provvisorio, impermanente, è vissuto sulle immagini.

Ci si perde così la possibilità di ascoltare e osservare ciò che stiamo vivendo, perché già proiettati con la mente al momento in cui riguarderemo quelle immagini.

Non siamo presenti alla nostra vita, non costruiamo la nostra storia, non viviamo il quotidiano, non costruiamo ricordi nè associazioni di idee.

Il desiderio di fermare quell’attimo, in realtà ce lo porta via per sempre.

 

Fotografiamo in modo distratto, del tutto inconsapevoli di ciò che stiamo vivendo.

Guardiamo il mondo, ci guardiamo all’interno di questo mondo, ma non osserviamo.

 

Dimentichiamo che cos’è la fotografia.

 

Per dirla alla Bresson, la fotografia è il perfetto allineamento tra occhio, mente e cuore.

Ovvero è un dialogo con noi stessi, è un consapevole penetrare nelle fitte maglie del mondo ascoltandoci e osservandoci.

 

È un atto di puro egoismo. E di palese edonismo.

Attraverso la fotografia io impongo il mio punto di vista, affermo la mia presenza, lascio emergere chi sono.

La fotografia, come tutte le altre arti, è figlia dei tempi in cui vive.

Mai come oggi.

I nostri tempi non ci permettono più il lusso di dialogare con noi stessi, non ci danno la possibilità di fermarci ad ascoltare e ci distraggono dall’osservare. I nostri sensi principali – vista, udito, tatto – sono ridotti alle sole funzionalità del vedere, del sentire e del toccare.

Gli impulsi puramente sensoriali non comunicano più con i processi mentali ad essi collegate.

L’osservazione e l’ascolto – funzioni che trovano la loro esplicazione anche attraverso il tatto - presuppongono la scesa in campo delle funzioni cognitive.

Consapevolezza, intenzione, motivazione, intuizione.

La fotografia diventa sterile rappresentazione di un momento proprio quando manca tutto questo.

 

 

Volendo provare ad entrare in punta di piedi nel campo psicoanalitico, potremmo analizzare il nostro bisogno di fotografare considerando la macchina fotografica come un’estensione della nostra psiche e dei suoi apparati.

 

Facciamo un breve refresh.

 

La psicoanalisi (da psico-, psiche, anima, più comunemente "mente", e -analisi: analisi della mente) è la teoria dell'inconscio dell'animo umano  che ha preso l'avvio dal lavoro di Sigmund Freud.

Freud  analizza il cosiddetto "modello strutturale della mente". Quest'ultima viene divisa in tre istanze psichiche diverse: l'Es, l'Io e il Super-Io.

L'Es è una struttura totalmente inconscia, che spinge per la soddisfazione delle pulsioni inconsce dell'individuo.

Solo attraverso i sogni o le associazioni mentali affiorano i contenuti dell'inconscio, che possono sfuggire al controllo delle azioni della coscienza.

Il Super-Io è una struttura quasi del tutto inconscia, costituita dalla rappresentazione psichica delle regole e dei divieti morali della persona. Il Super-Io ha il compito di impedire che l'Es soddisfi liberamente le proprie pulsioni.

L'Io è ciò che più si avvicina alla concezione di Sé. È la struttura organizzatrice della personalità e il suo compito principale è quello di fare da mediatore tra le richieste dell'Es e le esigenze della realtà. Per assolvere a questi compiti l'Io ha a disposizione dei meccanismi di difesa e la capacità di gestire la realtà attraverso funzioni quali percezione, attenzione, memoria, problem solving e, naturalmente, la coscienza.

 

Le basi dell'Io vengono a crearsi tramite processi di identificazione con gli oggetti del desiderio dell'Es: quando tale desiderio viene frustrato, l'assimilazione dell'oggetto (per mezzo dell'identificazione) andrà a costituire la base l'Io.

 

Potremmo quindi affermare che la macchina fotografica è uno strumento attraverso il quale la nostra mente stabilisce un dialogo tra l’ES e l’IO. In questo dialogo l’ES libera le pulsioni di autoaffermazione, il bisogno di riconoscimento, le tendenze aggressive e di difesa, le ansie, le inquietitudini e le angosce; il SUPER IO e l’IO le trasformano nell’azione del fotografare. L’immagine scattata diventa quindi uno specchio attraverso il quale vedrò e costruirò la mia immagine di realtà.

 

La realtà così costruita ed immobilizzata ci dà la percezione – falsa ed illusoria – di poterla governare, attraverso appunto l’immagine. 

 

Se l’atto del fotografare è strettamente connesso a questi processi di introiezione e contemporanea incorporazione del mondo esterno, la voracità con cui ci cibiamo di immagini non fa altro che soddisfare degli impulsi aggressivo-libidici legati all’ossessione di incorporazione e di conquista dell’oggetto. 

 

In inglese “fotografare” coincide con il verbo “shooting” (sparare); diventiamo cacciatori di immagini, le inseguiamo, le catturiamo e mostriamo le nostre “prede” al mondo che ci circonda per ottenere quel riconoscimento sociale che ci serve per confermare la nostra esistenza.

Questa aggressività inconscia di autoaffermazione, il bisogno di conservare il nostro passato per un futuro che consideriamo quanto mai incerto, sono figli di questi tempi.

 

La sterilità della fotografia è figlia dello shooting selvaggio.

 

Un’immagine deve essere ascoltata e osservata in tutte le sue fasi. Ancor prima dello scatto deve esistere già dentro la nostra mente.  

 

È necessario concepirla, osservarla, ascoltarla, persino toccarla. L’immagine deve nascere dentro di noi, deve crescere, formarsi, prendere vita, respirare e parlarci.

Ed infine morire nel momento dello scatto, in quell’attimo in cui diventa reale, oggettiva, spoglia delle percezioni e delle emozioni. In quel momento vivremo l’illusione di aver fermato il tempo, di averne congelato l’azione ed il significato.

 

Questo esercizio di consapevolezza ci permetterà di scattare con tutte le funzioni mentali attivate al massimo.

E solo allora potremmo affermare di aver scattato una Fotografia.

 

 

 

 

 

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